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lunedì 24 febbraio 2014

Quattro chiacchiere con...Simonetta Martellini

Simonetta Martellini, oltre ad essere la figlia dell'indimenticabile Nando Martellini, è una giornalista, sportiva e non, innamorata delle proprie figlie e del proprio lavoro...Classe 1955, ex giocatrice di pallavolo, si è gentilmente prestata a rispondere alle nostre domande. Tra i ricordi del padre, la passione ricamo, Kiraly, i nove aces di Iakovlev ed un ricordo di Bovo. Ma non solo.

Raccontaci qualcosa di te: chi è Simonetta Martellini?
"E’ la domanda più difficile che mi sia mai stata posta… Sono una donna che è riuscita a realizzarsi nella professione preferita, la mamma adorante di due figlie ormai adulte, presa da mille impegni che normalmente vado a cercarmi; mi piace leggere soprattutto narrativa, mi piace ricamare, mi piacciono i miei animali e mi piace curare la mia casa".

Come sei arrivata ad occuparti, tra i tanti sport, di pallavolo?
"Ho giocato per una decina d’anni, era una grande passione. E lo sapeva Massimo De Luca, che io considero mio cugino, ci conosciamo infatti da quando eravamo adolescenti. Lui era al giornale radio, ci fu bisogno di una voce del centro-nord per Pallavolando, lo disse a Mario Giobbe, che mi ingaggiò".

Segui la pallavolo, se non sbaglio, dal 1991, quando entrasti in Rai: ti ricordi una partita in particolare?
"Tante tante. La maggior parte delle finali scudetto. Italia-Argentina a Buenos Aires 2002, valeva solo il quinto posto, magica per il tifo ipnotizzante dei padroni di casa. Tutte le gare della nostra Nazionale al Mondiale italiano, da pelle d’oca l’inno cantato da migliaia di spettatori. Italia-Francia 3-2, 2003, il primo oro europeo che raccontai in diretta. La partita perfetta dell’Italia contro la Russia, semifinale ad Atene 2004. Le tre vittorie continentali delle nostre ragazze, dal Belgio in poi. Precedute da quell’Italia-Russia a Charleroi, sembrava un ostacolo insormontabile; invece aveva ragione Simona Gioli: “Perché, cos’hanno le russe più di noi?”, mi disse al microfono, nell’intervista più sintetica (e significativa) della mia carriera".

L'emozione più forte mai provata per un evento sportivo?
"Il giorno del mio cinquantesimo compleanno. Grazie a un regalo speciale: la medaglia d’oro europea nella mia Roma, l’11 settembre 2005".

La storia della telecronaca sportiva si intreccia con la storia  della tua famiglia. Questo fatto come lo hai vissuto e come lo vivi?
"Non mi piaceva il calcio, non seguivo molto le telecronache di papà. Quando chiedeva: “Come sono andato?”, provavo sempre sensi di colpa. Oggi sono una privilegiata: il padre che ho tanto amato è sempre qui. Posso ascoltarne la voce quando voglio, posso rivederlo muoversi e lavorare. E il fatto che in tanti lo ricordino ancora con affetto è insieme consolazione e orgoglio".

Quanto ha influito la figura di tuo padre nello scegliere il tuo lavoro?
"Tantissimo. Ero affascinata dal suo lavoro. Quando il mio insegnante di italiano mi disse: sei una buona penna, provai a seguirne le orme"

Ci racconti qualche aneddoto legato a tuo padre?
"Uno personale: quando nacque mio fratello avevo cinque anni. La sera, se era a casa, papà dava un po’ di respiro a mamma: mi portava a passeggiare, mano nella mano. E mi parlava come a un’adulta: lui alto alto, io quasi col torcicollo per  guardarlo mentre mi spiegava perché la luna non era dove l’avevamo vista il giorno precedente, mentre mi raccontava di paesi lontani, oppure mi preparava
al mio primo anno di scuola. Quanto alla professione, ti dico solo che non voleva assolutamente che diventassi giornalista: non è una professione per donne, diceva. Si arrese, poi, davanti alla mia testardaggine".

Oltre al volley, segui anche altri sport, sia professionalmente sia  
non professionalmente?
"Diciamo che è una materia che mi attrae. Alcune discipline le guardo volentieri in TV, altre proprio non le sopporto. Ma non ti dico quali".

Da anni in Rai, hai visto tanti colleghi passare. Qual é quello al quale ti senti più legata?
"Con tanti ho stretto legami di amicizia, nella redazione regionale Anna Maria Cremonini, Giovanna Greco, Marino Cancellari, Filippo Vendemmiati. Con i colleghi del giornale radio ho vissuto le mie tre indimenticabili Olimpiadi, con molti di loro mi sento spesso. Ad Atene ho lavorato fianco a fianco con
Alfredo Provenzali… e da Pechino gli telefonavo per chiedergli “dritte” e consigli".

Il personaggio sportivo col quale hai legato maggiormente?
"Uomo: Fefè De Giorgi. Donna: Eleonora Lo Bianco".

Hai ricordi delle partite viste al "PalaFiera" di Forlì e sui campi di Ravenna?
"Be’, Ravenna è sinonimo di Messaggero, ricordo l’anno di quei due mostri che rispondevano ai nomi di Kiraly e Timmons. Di Forlì mi è rimasta impressa una partita di Serie A2, con nove ace di Iakovlev".

La pallavolo romagnola, ed in particolare quella di Forlì e Ravenna è legata a Vigor Bovolenta: come lo ricordi?
"Voglio ricordarlo con la gioia che mi ha insegnato sua moglie Federica Lisi, donna straordinaria che ci fa capire quanto fosse speciale anche Vigor. Un ragazzo schietto, vero. Se ti chiedeva “come stai?” era veramente interessato a sapere come stavi".

Che consiglio daresti ad un giovane che si affaccia al mondo del  giornalismo?
"Di fare provvista di dosi industriali di tenacia e pazienza. Ce ne voleva ai miei tempi, oggi non ne parliamo. E se proprio non è animato dal sacro fuoco, be’, cerchi un’alternativa al più presto".

Crisi economica e sport: quale potrebbe essere la ricetta giusta per cambiare le cose? Si può fare sport ad alto livello con poche risorse economiche?
"Non credo si possa fare più di quanto già si fa. Restando alla pallavolo, io detesto la non-retrocessione, eppure capisco che sia necessaria. Comunque il risultato è che il campionato è spaccato in due, tra chi può spendere e chi non ce la fa".

Tornando indietro, professionalmente parlando, c'è qualcosa che rifaresti e che invece non rifaresti?
"Non cambierei nulla. Sono arrivata a fare il mestiere che ho sempre desiderato, sin dalle prime collaborazioni, più di quarant’anni fa. Avevo ridimensionato le mie ambizioni, quando nacquero le mie figlie. Una bi-mamma non può fare l’inviato, mi dedicai perciò volentieri alla redazione di Bologna  come conduttore. Poi la sorte mi diede una seconda possibilità. Nicoletta Grifoni decise di lasciare la pallavolo nel 2000, mi chiesero di prenderne il posto. A quel punto le mie bimbe erano abbastanza grandi da sopportare una mamma con la valigia".

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